15 gennaio, 2006

Ma si vive facendo questo mestiere?

Questa è l’ultima domanda che si fa ma la prima che si pensa. Sta dietro a tutte le altre domande sulla musicoterapia ed essendo spesso sottintesa va ad insinuarsi indirettamente nel naturale senso di appagamento che ci si aspetta da tutte le risposte agli altri quesiti. Per un giovane in cerca di lavoro o un meno giovane che vuole cambiare la professione che fa, è vitale sapere se ha un senso investire tempo e denaro in un percorso formativo musicoterapico.
Quali sbocchi offre la musicoterapia?
Che sicurezze e garanzie ci sono?
Si vive facendo questo mestiere?
Quando mi viene rivolta questa domanda, rispondo sempre con un rasserenante si. Subito dopo specifico che non si diventa ricchi ed è decisamente meglio se hai una moglie (o un marito) che ti mantiene. Invito poi i giovani a portare avanti una formazione parallela in ambito universitario. Per chi sta cercando nuovi sbocchi lavorativi e vuole mollare l’occupazione attuale, non mi stanco di ripetere che è meglio prendersi un anno di aspettativa e mettersi alla prova prima di decidere. In ogni caso è un dato di fatto che la maggior parte dei diplomati in musicoterapia appena trova qualcosa di “meglio” non ha remore e cambia mestiere. Fare musicoterapia richiede la capacità di sostenere la precarietà di un posto incerto, mai uguale, poco riconosciuto. Chi cerca o sogna il posto fisso e routinario non resiste. Un altro dato interessante che può aiutare a chiarire la situazione è che spesso chi decide di studiare musicoterapia non lo fa perché pensa di fare questo mestiere da grande. Molti hanno già una competenza, un diploma, un lavoro “riconosciuto” che gli garantisce il posto fisso. La formazione diventa quindi un modo per implementare il proprio sapere e per continuare a fare il proprio lavoro.

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